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Anniversari. Il Centenario di Pareto. Articoli di Simone Paliaga e Marcello Veneziani.

Due articoli qui di seguito per ricordare il grande sociologo ed economista che andrebbe riletto.

IL SECOLO DI PARETO, FUSTIGATORE DI INGANNI E DEMAGOGIE

di Simone Paliaga

(Avvenire del 18 agosto 2023)

«Chi sa, fra un secolo, se qualche esemplare della sociologia sfugge al rodere dei topi, un qualche ricercatore troverà che al principio del secolo XX ci fu un autore che volle introdurre il principio di relatività nelle scienze sociali; e dirà: “Come mai ciò non fu inteso, mentre tanto facilmente quel principio invadeva le scienze fisiche?”. Credo che risponderà “Perché allora, come sempre, le scienze sociali erano enormemente arretrate, in paragone alle scienze fisiche”». Così scriveva nel maggio del 1921 Vilfredo Pareto all’amico Maffeo Pantaleoni. Oggi, alla vigilia del 19 agosto, si può liberamente sostenere che a cento anni esatti dalla morte del grande sociologo ed economista, nato a Parigi nel 1848, dove il padre si era rifugiato da esule, i roditori hanno risparmiato il suo lavoro di ricerca. Non solo perché di Pareto se ne parla ancora, ma anche perché i suoi studi non sono affatto da accantonare coperti di polvere.

Indiscusso è il suo apporto alla teoria economica con l’equilibrio paretiano, la distribuzione paretiana e l’ottimo di Pareto, che corrisponde a una situazione in cui non si può migliorare il benessere di un individuo senza deteriorare quello di un altro. Eppure è la componente sociologica a offrire ancor oggi i maggiori spunti di riflessione sugli avvenimenti di questo primo scorcio del XXI secolo, aiutando a smascherarne le finzioni, a individuarne tendenze sociali e a mettere in guardia sulle dinamiche di potere. E questo malgrado le sue opere principali, Corso di economia politicaI sistemi socialistiTrattato di sociologia generale siano fuori commercio e di difficile reperibilità.

Tra qualche giorno sarà invece nuovamente disponibile per Castelvecchi (pagine 124, euro 16,00) Trasformazioni della democrazia, il cui proposito essenziale è denunciare le relazioni di potere che si danno in un sistema sociale e politico, e comprendere come esse solo apparentemente mutino cogliendo lo scarto tra le proiezioni ideali e la realtà storico-effettuale. Da qui la denuncia della “plutocrazia demagogica”, che oggi esprime le ambizioni politiche di tycoon e ricchi outsider provenienti dal mondo industriale. Fenomeni che sono espressione di disgregazione sociale ed erosione della sovranità politica, che adombrano il rischio di forme di potere cesaristiche e monocratiche.

Economista tra i maggiori, al quale si deve l’introduzione nella disciplina della matematica applicata per soppesarne le conclusioni, e, insieme a Max Weber e Émile Durkheim, uno dei padri della sociologia, Pareto è stato animato nel suo studio dal rifiuto di ogni interpretazione riduzionista dei fatti sociali. La stessa sociologia, non a caso, ambisce a esplorare gli aspetti della realtà inspiegabili dall’economia. Lo riconosce lui stesso quando ammette che «la disuguaglianza della ripartizione dei redditi sembra dipenda molto più dalla natura stessa degli uomini che dall’organizzazione economica della società», spingendolo ad affrontare un nuovo campo di indagine.

Dopo gli studi di ingegneria e il ruolo di dirigente in aziende pubbliche e private, Pareto, dal 1889, decide di dedicarsi completamente alla carriera intellettuale, succedendo nel 1893 a Losanna a Léon Walras nella cattedra di economia politica. Un cammino di pensiero, il suo, non certo lineare ma in cui vita attiva e vita teorica si intrecciano e fecondano inestricabilmente, come illustra il meticoloso lavoro di Fiorenzo Mornati, Una biografia intellettuale di Vilfredo Pareto (Edizioni di Storia e Letteratura, tre volumi, pagine 192-256-166, euro 28-38-25). Il contributo di Pareto alla sociologia riguarda in gran parte la teoria dell’azione, per studiare cosa muova gli uomini ad agire. Nel poderoso Trattato di sociologia generale riconosce come le azioni logiche siano solo una parte, e non certo la preponderante, dell’agire umano. In esso giocano un ruolo “residui” e “derivazioni”. I primi corrispondono alla manifestazione di sentimenti e istinti che spingono l’uomo all’azione, le seconde rappresentano il tentativo di rielaborarli fornendogli una giustificazione logica. Tra esse rientrano le varie ideologie, che la sociologia si assume il compito di smascherare per metterne in luce la dimensione illogica ma non per questo da scartare.

Attraverso il filtro di residui e derivazioni lo studioso di Céligny fustiga ogni infatuazione umanitaria, progressista, nazionalista, socialista, con lo scopo di dimostrare da una parte la stoltezza delle illusioni sulla natura umana e dall’altra la natura immodificabile degli istinti. Uno sforzo immenso, che fa aggio sulla tradizione che da Machiavelli giunge a Gaetano Mosca, per dare una base oggettiva alle sue argomentazioni, sollevarle dalla sfera delle convinzioni e dell’esperienza personale per collocarle nell’ambito della scienza.

Nella classificazione dei residui Pareto ne individua in particolare due, e opposti tra loro: l’istinto delle combinazioni, all’origine dell’innovazione e del dinamismo, e la persistenza degli aggregati (come famiglia, vincoli di comune discendenza o religione) che induce alla conservazione. Ambedue le spinte sono necessarie in ogni società per garantire l’equilibrio tra continuità e novità, che per definizione è precario. Non a caso per Pareto storia e società sono mosse dal conflitto incessante tra élite che detengono il potere ed élite che aspirano a subentrarvi. «Le aristocrazie – ammonisce – non durano; qualunque ne siano le cagioni, è incontestabile che dopo un certo tempo spariscono. La Storia è un cimitero di aristocrazie», ma non giunge mai a un capolinea perché si caratterizza dalla incessante circolazione tra élite decadenti e élite nascenti che ne impediscono la “cristallizzazione” in dinamiche consunte foriere di corruzione e decadenza.

Quanto l’opera di Pareto rimanga ancora un forziere di spunti lo testimonia il dossier dedicato al sociologo di inizio Novecento per il centenario della morte, curato da Giovanni Barbieri, intitolato significativamente L’attualità di un guastafeste pubblicato nell’ultimo numero della Rivista di Politica (Rubbettino, pagine 160, euro 15). Da quello scrigno labirintico che è il Trattato di sociologia generale fuoriescono arnesi ermeneutici che contribuiscono a lumeggiare alcuni tratti dei tempi presenti come l’emergere, mutatis mutandis, di populismi e sovranismi. Al suo contributo si deve anche la capacità di mostrare come l’aspirazione alla giustizia non sia solo un’ideologia, ma espressione di “residui” profondi e inestirpabili di ricerca di sicurezza fisica e benessere psicologico, e questo in anticipo su John Rawls.

Similmente, ben prima di Martha Nussbaum, Pareto mette in luce come le emozioni, che preferisce chiamare sentimenti, guidino e condizionino l’agire umano conducendolo oltre l’homo oeconomicus. E cosa dire della fustigazione del “mito virtuista” che oggi fa capolino dietro le derivazioni della cancel culture e dell’ideologia woke? Tutti elementi, per dirla con Giovanni Barbieri, che portano a sostenere che «dimenticare Pareto non è possibile».

PARETO SCOPRI LE ELITE, I MITI MODERNI E IL FASCISMO 

di Marcello Veneziani

(La Verità del 19 Agosto 2023)

Come oggi cent’anni fa, il 19 agosto del ’23, moriva nella solitudine di Céligny, il più grande sociologo italiano, scopritore delle élite e del mito nella società contemporanea: Vilfredo Pareto. Economista e matematico, storico e sociologo, studiò con realismo lucido e a tratti ironico, le mutazioni e le invarianti della storia; osservò la realtà e l’umanità con estraneo disincanto, come se lui non vi appartenesse. Critico del socialismo ma severo anche verso la borghesia, liberale diffidente della stessa libertà, fautore del principio di autorità e dell’ascesa fascista al potere, scienziato che pone limiti alla scienza, aristocratico che reputa caduche le aristocrazie, fustigatore dei falsi pudori come dei costumi permissivi, realista ed empirista ma portò alla luce il fondo mitico e sacrale delle azioni umane. Pareto comprese la grande incidenza dei fattori “non logici”, della forza, la circolazione delle élite, anche in democrazia e nel socialismo, nel razionalismo e nel pacifismo.
Pareto nacque a Parigi nel mitico 1848 ma visse tra Firenze e la Svizzera. Era stato radicale in gioventù, liberale da adulto, reazionario da vecchio, scettico e aristocratico sempre. Teneva al suo titolo di marchese anche se lo spregiava come ninnolo, sciocchezza; sfidò a duello il conte Alessandri che aveva dubitato e ironizzato sul suo titolo nobiliare. Si laureò in ingegneria; si occupò d’economia e di ferrovie, insegnò a Losanna. Lasciato da sua moglie, la principessa russa Alexandra Bakunin, si unì more uxorio con Jeanne Regis, conosciuta con un’inserzione sui giornali. Non ebbe figli, detestava i bambini. Col nuovo secolo si ritirò nell’eremo di Villa Angora, a Céligny, sul lago di Ginevra, circondato da due dozzine di gatti, qualche scoiattolo e un capretto. Pareto riceveva i rari ospiti coperto da vari strati di mantelli. Apriva una bottiglia di vino secondo il gusto dell’invitato; pur essendo un raffinato cultore di Bacco, Pareto non beveva. Elitista ma non etilista, scrivevo curando da ragazzo una sua antologia; lasciava che a inebriarsi fossero gli ospiti. Così fece anche nella vita, lasciò che si ubriacassero le élite e i popoli; lui, astemio, descrisse lucidamente gli effetti dionisiaci sui singoli e sui popoli, ben sapendo che l’ebbrezza spinge gli uomini a compiere grandi imprese.
Pareto, Mosca e Michels sono noti come “machiavellici”: sono realisti, ritengono invariabile la natura umana, guidata della necessità, della virtù e della fortuna; a dominare è la forza del leone o l’astuzia della volpe. Non può esistere un governo del popolo; la sovranità è sempre nelle mani di pochi, la storia è un cimitero di aristocrazie e la lotta politica è una competizione tra élite in ascesa e in declino. Tra gli autori citati, Pareto ha lo sguardo più ampio e più lungo, da economista e da sociologo, da osservatore della storia, della politica e dei caratteri. Pareto fu il primo a introdurre il concetto di élite, che trascende quello di classe politica, a cui si riferì invece Mosca. L’élite per Pareto è come un fiore, appassisce; ma se la pianta, ossia la società, è sana, nascerà presto un altro fiore. La circolazione delle élite avviene in due sensi: uno orizzontale (all’interno della stessa élite) e uno verticale (ascesa o caduta dell’élite).
Pareto colse nella storia due elementi decisivi: i residui e le derivazioni. I primi sono fattori non logici, le seconde sono invece la loro rielaborazione logica. Tra i residui spiccano due impulsi opposti: l’istinto delle combinazioni che produce dinamismo e innovazione e la persistenza degli aggregati che induce a difendere gli assetti precedenti. Ambedue le spinte sono necessarie in ogni società per garantire equilibrio tra continuità e novità, tradizione e progresso. Ci sono anche i residui sessuali sui quali sorge “il mito virtuista” col suo puritanesimo sessuofobo che Pareto sferzò con sagacia.
Nella sua opera capitale, il Trattato di sociologia, previde scenari che si avverarono: in Russia, in Italia e nel resto d’Europa. Polemizzò con Maffeo Pantaleoni sugli esiti del conflitto mondiale: Pareto sosteneva che la guerra avrebbe favorito le rivoluzioni socialiste, Pantaleoni che avrebbe rilanciato lo spirito patriottico. Ebbero ragioni entrambi perché sorsero sia il bolscevismo che il fascismo, dopo il biennio rosso.
La sua lezione sull’impossibile autodirezione delle masse ebbe allievi diversi, da Lenin a Mussolini, ma anche i nazionalisti, Gramsci e Gobetti. Si racconta che Lenin e Mussolini si siano sfiorati solo una volta nella vita, a Losanna, seguendo le lezioni di Pareto. Partendo da un giovanile socialismo e poi un disilluso liberismo, Pareto notò che le ideologie erano gusci vuoti senza due ingredienti essenziali: la forza e il mito. Qui le idee di Pareto collimavano con quelle di un altro ingegnere pensatore che aveva destato anch’egli l’interesse di Mussolini e di Lenin, ma anche di Gramsci, Gobetti e dei sindacalisti nazionali e rivoluzionari: Georges Sorel. Il mito di Sorel è lo sciopero generale, il mito di Pareto è la nazione. Pareto fu definito da Volt “il Karl Marx del fascismo”. Scrisse sulla rivista mussoliniana Gerarchia. Aveva conosciuto Mussolini ai primi del novecento, quando l’agitatore socialista era rifugiato in Svizzera. Nell’ottobre del 1922 Pareto incoraggiò Mussolini a marciare su Roma e prendere il potere, con un telegramma in cui gli diceva: “ora o mai più”. Appena salito al governo, Mussolini lo nominò rappresentante dell’Italia presso la Società delle nazioni. Il 1º marzo del 1923, su proposta del governo fascista, fu nominato Senatore del Regno, ma la nomina non si concretizzò perché Pareto non consegnò mai i documenti richiesti. Pochi mesi dopo morì.
Altri ci racconteranno la psicologia delle folle (Le Bon) e la ribellione delle masse (Ortega y Gasset); Pareto ci insegnò la circolazione delle élite e il ritorno possente dei miti in piena modernità.

La Verità – 18 agosto 2023