Attualità

Questi nostri  Trabocchi. 2

Un PST teso alla “valorizzazione e salvaguardia” della Costa o costituisce un implicito strumento di attrazione turistica?

     Apprendiamo da un Comunicato della Regione Abruzzo: Obiettivo prioritario del PST [Progetto speciale territoriale della Costa dei trabocchi”] è la valorizzazione e la salvaguardia dell’intero ambito costiero e di garantire la qualità del suo sviluppo e delle sue trasformazioni territoriali nel pieno rispetto delle valenze ambientali, storiche e paesaggistiche presenti e in coerenza con i riferimenti normativi vigenti in materia di urbanistica, pianificazione del territorio, tutela ambientale, paesaggistica, storica e architettonica. (08 febbraio 2023)

     La domanda – direbbe qualcuno – sorge spontanea: Ammesso che la motivazione di attrarre gente in visita e/o in vacanza risieda nella sua particolare conformazione naturale, o più precisamente antropico-ambientale, quanto c’è di ‘naturale’ in uno ‘sfruttamento’ prettamente turistico della nostra Costa e degli stessi Trabocchi? In altre parole: se la finalità di fondo del “Progetto” politico e istituzionale tende ad attrarre una sempre più crescente presenza di gente sul luogo, lungo il noto itinerario che va da Vasto a Ortona, in particolare sugli stessi “trabocchi”, inevitabilmente c’è da chiedersi: – Quale Costa in tal maniera potremo conservare come nostra peculiare dote? E ancora, le inevitabili sopra citate “trasformazioni territoriali” potranno essere mai dirsi un “…pieno rispetto delle valenze ambientali, storiche e paesaggistiche presenti …”?

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     Ma cosa sono questi nostri Trabocchi della Costa, che funzione hanno di per sé e possibilmente ancora adesso? Vorrei qui, dunque, sommariamente dire della nascita  di queste particolari strutture palafitticole, appollaiate su degli scogli naturalmente posizionati nello specchio di mare antistante i vari e diversi luoghi costieri. Strutture che colpiscono al primo sguardo per le loro evidenti quanto sorprendenti fragilità statiche, soprattutto in relazione ai prevedibili e inevitabili marosi invernali. Attraggono per la naturalità delle costruzioni che la gente del luogo, ingegnandosi in vario modo, ha ‘architettato’ per un ben preciso scopo: poter catturare pesce, alimento di vita, senza dover andare come altri con la barca in mare. Costruzioni tirate su nel tempo utilizzando il materiale che lo stesso mare metteva a disposizione. In particolare rami e tronchi portati a riva dal noto fenomeno del “rigetto” (lu riette) della vegetazione trasportata nelle acque marine da torrenti e fiumi …. Da qui pali e assi e di varia misura e forma, impiantati strategicamente sugli scogli presenti e disseminati lungo costa, resi il più possibile stabili e resistenti da tiranti in ferro o corda, a sostegno prima di una stretta  e impervia passerella di accesso ad una successiva più o meno larga piattaforma, ove operare nella attività ittica voluta. Un attività praticata immergendo, con due lunghi pennoni o antenne (assemblati con due o tre tronchi progressivamente di diametro inferiore), tipiche estremità finali del trabocco inteso come “macchina da pesca”, protesi nello specchio d’acqua antistante, in funzione di una più o meno ampia rete, da calare e poi tirare su, con i pesci fortunosamente, quando più, quando meno, intrappolati al suo interno. I primi trabocchi, erano costituiti da una struttura la più essenziale possibile: tronchi e assi su cui i traboccanti si muovevano come degli equilibristi, magari dopo essersi letteralmente inerpicati partendo da un piccolo battello, tenuto lì sotto all’ancora. In seguito, con più possibilità economiche acquisite dal traboccante proprietario, tali trabocchi vennero dotati di veri e propri piani di calpestio per il movimento più agevole e sicuro, e poi ancora, al meglio, provvisti di semplici tettoie o persino di ‘casette’, per ripararsi dalle intemperie e dai raggi del sole, fra una immersione e successiva emersione dell’ampia rete tesa e manovrata sullo specchio d’acqua con le dette antenne e corde a mo’ di piatto di bilancia. Una trasformazione progressiva certamente già questa, ma pur sempre senza uno stravolgimento della sua natura e funzione.

     Questo sostanzialmente “il trabocco”, così come nasce e per quale scopo, ideato e utilizzato da quella gente che (per usare una espressione del poeta Rafael Alberti) è possibile denominare “marinai di terra”. Ma nel tempo presente, tale “trabocco”, divenuto attrazione ambientale e soprattutto turistica della nostra Costa, come si presenta, in cosa si desidera e vuole che si trasformi?

     Nell’oggi, sui Social, persino su specifici blog che si denominano “dei Trabocchi”, chi si accinge a raggiungere, per una visita o una vacanza, una regione Abruzzo sempre più riscoperta meta del vacanziere, marino e non solo, la prima cosa che incredibilmente si chiede è … non “cosa sono” e “che funzione hanno”, al più se si  può accedere ad essi, bensì: … dove, in quale, meglio e magaria buon prezzo”, “se alla carta o con menù fisso”, si può pranzare o cenare e fare “l’aperitivo”!

     Per non farla inutilmente più lunga – tralasciando di interrogarci con quali “permessi” e “autorizzazioni” questo “cambio di destinazione d’uso” sia possibile – si ha ben motivo di chiedersi: è una anomalia di fatto quel che sta accadendo, oppure è persino insito nel sopracitato “Progetto” regionale, tale progressiva “trasformazione” del “trabocco”, considerato come semplice “palafitta” ad uso turistico? Insomma, facendo mia una definizione tratta da “Vasto Domani n. 7” a proposito di Vasto-Centro storico: la Costa dei Trabocchi è anch’essa destinata a diventare, pari, pari, inesorabilmente forse, …“una realtà senza [vera] identità”?

Giuseppe F. Pollutri