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Trabocchi nostri del Vasto. Storia e memoria

Era “lu prime”. Iniziando dalla Bagnante alla Marina, era (e resta ovviamente) il “primo trabocco” di Vasto. Allora ormai in disuso e “in disarmo”, giacché ormai privo degli elementi (pennone e antenne, argano, tiranti incrociati e contrapposti in fil di ferro e cordame) che fanno di una tale architettura spontanea, poggiata sugli sparsi e molteplici scogli del nostro litorale, a noto dire di G. D’Annunzio: “una strana macchina da pesca, tutta composta di tavole e di travi, simili ad un ragno colossale […]”. Di quel trabocco tirato su tra Scaramuzze e Lu Trave in epoca imprecisata da … pescatori di costa, nonostante la sua dismissione funzionale, mi ero innamorato nel navigare dappresso con una mia barchetta. In quel tempo, anni ottanta secolo scorso, per mancanza di manutenzione e ad opera di distruttivi e ricorrenti fortunali, era ridotto ad un essenziale ossatura. Come qualcuno rigorosamente tiene a dire, era divenuta una semplice “palafitta”, e come tale (apparentemente) ‘senza scopo o senso’.

     Composto da sbiancati e levigati rami e tronchi d’alberi del ‘rigetto’ del mare,  tradizionalmente usati dai traboccanti pressoché come unico materiale per assemblare  e mantenere in sufficiente stabilità ed equilibrio l’ingegnosa struttura, considerata la ormai cessata frequentazione della stessa da parte dell’uomo, era divenuta una sorta di indisturbata casa o rifugio dei gabbiani di quel tratto di mare. Tanto che, pur accostandomi con la mia barca ad essa, pur nel perlustrarla su ogni lato per ‘scattare’ foto, questi si limitavano, aperte d’un tratto l’ali, a sollevarsi dal legno soltanto qualche momento, magari per un circoscritto giro nell’ aria, per poi appollaiarsi di nuovo, appena un po’ più in là. Quel che mi affascinava di tale ormai scarna struttura era la sua persistente, ben congegnata collocazione sugli scogli, la precisa connessione dei residuali componenti, i rugginosi pezzi di binario ferroviario conficcati nello scoglio, su cui restavano ‘innestati’ i legni di vario spessore o diametro, nonché lo strategico posizionamento degli elementi verticali in funzione di sostegno del soprastante piano orizzontale. Un piano formato al meglio da tavole di varia larghezza e misura, necessario al camminamento e allo stazionamento del traboccante, sia nell’attività strettamente piscatoria, che in quella dell’attesa, tra una calata e l’altra della grande rete, tesa ingegnosamente a mo’ di piatto di bilancia sul mare e poi allentata e immersa in acqua per la cattura dei pesci di scoglio o di quelli in transito, seguendo le correnti, in quel tratto di mare.

Dopo alcuni anni, riguardando la documentazione fotografica di quelli mie ‘gite’ in barca sottocosta, mi piacque di dare a quei ricordi immagine plastica e cromatica con mie formelle in cotto e ceramica.

Oggi (non so dire da quale anno) tale nostro primo trabocco, ricostruito “come si deve”, ha una nuova e più recente struttura lignea, sicuramente più ferma e più affidabile, in quanto utilizza legname di falegnameria opportunamente levigata e trattata. Nulla da eccepire …, ma a mio avviso ha così perduto il fascino di quegli originali tronchi e assi di rinvenimento costiero, nodosi e contorti, naturalmente scortecciati e levigati dall’azione delle onde del mare, dal lungo rotolamento in riva su sabbia e ciottoli, prima del definitivo spiaggiamento per onde invernali più lunghe e potenti.

Tutto muta, specie nelle forme, si sa. La lezione filosofica eraclitea è in questo fondamentale per non sentirsene più di tanto disturbati …  L’importante – a mio avviso – è che tale antica e tradizionale struttura costiera – “il trabocco” – conservi, se necessario recuperi, la sua originaria e tradizionale funzione, la sua varia e pur sempre caratterizzante con-formazione, se non proprio l’originaria destinazione, quantomeno la sua culturale significazione ambientale e antropica.  
La Storia è anche memoria, quel che di essa se ne ha e si tramanda.

Giuseppe F. Pollutri,

critico d’arte, pubblicista e poeta