Cultura

Il castello baronale d’Alena di Macchia d’Isernia.

3^ tappa del tour alla scoperta dei castelli molisani

Tra le fortificazioni di epoca normanna pervenute fino ai nostri giorni, disseminate nel Molise, vi è anche il castello di Macchia d’Isernia, esempio tra i più notevoli dell’architettura castellana del comprensorio dell’alto Volturno. L’originaria fortezza difensiva normanna, realizzata attorno al X secolo, periodo in cui il territorio isernino fu colonizzato dai monaci della vicina abbazia di S. Vincenzo al Volturno, fu trasformata in residenza attorno al XVII secolo ed arricchita con elementi architettonici in epoca rinascimentale. Il complesso edilizio è stato dichiarato di interesse particolarmente rilevante con decreto del Ministero dei Beni Culturali nel 1982.

Il castello sorge su una modesta altura in funzione di controllo dell’antica strada che collegava il Molise con il Lazio e la Campania. Il sistema difensivo era organizzato in modo da consentire tanto il controllo all’esterno, verso il territorio, quanto quello all’interno, verso l’abitato. Tre sono le torri, delle quali due circolari ed un torrione quadrangolare sul lato ovest. La torre circolare che guarda sulla piazza principale è ingentilita da colonnine con archi a tutto sesto, realizzati in pietra da taglio di fattura rinascimentale, che richiamano lo stesso motivo del loggiato-belvedere. Quest’ultimo è coperto da un soffitto ligneo e pavimentato con un basolato di pietra calcarea bianca. L’accesso al maniero avviene attraverso un grande portale in pietra, nel quale sono ancora visibili gli innesti dell’antico ponte levatoio. Attraversato il portone si accede alla piazzetta interna, anticamera del castello, una volta chiamata piazza Baglio, nella quale fino al Settecento si riunivano gli “anziani”, convocati dal Baroneper prendere decisioni, soprattutto economiche, riguardanti l’intera comunità. La piazzetta è caratterizzata da un ampio scalone che conduce al portone d’ingresso della dimora gentilizia. Il castello di Macchia d’Isernia è uno dei pochissimi in Molise, se non addirittura l’unico, ad essere ancora abitato dai discendenti degli ultimi feudatari. Ad accoglierci troviamo proprio l’attuale proprietario, il Prof. Giulio de Jorio Frisari, la cui famiglia detiene i titoli di nobile di S. Vincenzo al Volturno, Barone di Macchia d’Isernia (per successione d’Alena) e Conte di Ceglie (per successione Frisari), che ci accompagna in visita all’avito maniero.

La prima tappa è rappresentata dal cortile interno, sul quale si aprono diversi locali, un tempo utilizzati come cantine e scuderie. Percorrendo lo scalone, coperto e fornito di archi rampanti, che dal cortile conduce al piano nobile, apprendiamo che anticamente nel palazzo soggiornò la figlia minore di Ruggero II d’Altavilla, che aveva sposato un de Moulins, signore della contea normanna che in seguito avrebbe preso il nome di Molise, e che dal 1343 appartenne alla regina Sancia d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò. Al termine della scalinata si giunge su un ballatoio, anch’esso coperto e provvisto di due archi rampanti, al centro del quale si apre un maestoso portale rinascimentale in pietra che immette nel grande salone, con soffitto ligneo e pavimento in cotto, collegato con la torre quadrangolare. Il padrone di casa ci fa notare la particolare conformazione urbanistica che vede la torre del castello fronteggiare, ad una distanza di pochissimi metri, quella della vicina Chiesa Madre; se osservate dall’androne che affaccia su piazza Baglio, si ha l’impressione di vedere il tetto della chiesa fuso a quello del palazzo, ed il campanile poggiato sul torrione. Si tratta di una prospettiva allegorica, che allude alla fusione del potere politico, rappresentato dal castello, con quello religioso (la chiesa). Infatti, per diversi anni, gli ultimi feudatari di Macchia, grazie al diritto di nomina degli abati delle cappelle di jus patronato, li detennero entrambi saldamente. La prospiciente chiesa parrocchiale del resto, porta oggi il titolo di S. Nicola di Bari, in quanto nel 1780, il Vescovo di Umbriatico, Mons. Zaccaria Coccopalmerio (zio di Maria Carmina Coccopalmerio, moglie di Filippo d’Alena), riconsacrò l’edificio dedicandolo al santo vescovo di Myra, come omaggio al barone Nicola d’Alena (padre di Filippo e suocero di Maria Carmina).Inoltre, proprio di fronte alla porta della chiesa, vi è un ingresso secondario al castello, detto “la portella”. Fino agli ultimi anni dell’800, era usanza per gli sposi recarsi, subito dopo la cerimonia, dal castellano. Attraversata la “portella”, accedevano ad una grande rampa di scale, al termine della quale trovavano un pianerottolo sul quale li attendeva il Barone, per il rito del baciamano. Si trattava di un’antica usanza, residuo degli omaggi vassallatici di ordine feudale.

Tornandoin fondo al ballatoio coperto, invece, accediamo ad un secondo portone, più piccolo, che conduce alla vera e propria zona residenziale. Il Prof. de Jorio Frisari ci conduce attraverso le sale del palazzo: i pavimenti in cotto, gli stipiti, gli architravi e le mensole in pietra, inserite nelle murature per definire i vani di porte e finestre, risalgono tutti al XVII secolo, epoca in cui l’edificio difensivo fu riadattato alle esigenze di una dimora patrizia.Gli ultimi consistenti lavori, furono eseguiti dopo il sisma del 1984, e riguardarono il consolidamento delle strutture murarie ed il rifacimento delle coperture.

Dopo aver attraversato vari ambienti ed i quattordici saloni del piano nobile, arredati con specchi ed arazzi settecenteschi, uno dei quali riservato ai ricordi ed ai cimeli di famiglia, si arriva alla cappella domestica anch’essa adornata con mobili del ‘700, uno dei quali espone numerose reliquie, tra le quali si annoverano quelle di S. Gennaro, S. Alfonso, S. Filomena, S. Francesco di Paola, S. Flavio martire. Il monumentale mobile centrale, contiene anche le bolle di concessione attestanti l’autenticità delle reliquie, ed il documento con il quale sua Santità Pio VI, il 23 gennaio 1779, concesse a Filippo d’Alena, secondo Barone di Macchia, il beneficio dell’oratorio privato, ed a suo fratello Felice d’Alena, sacerdote, di celebrare la messa domenicale nella medesima cappella. Vi si conserva, inoltre, la statua di S. Biagio, che fu patrono di Macchia d’Isernia prima che la chiesa parrocchiale fosse intitolata a S. Nicola di Bari.Altro fiore all’occhiello del castello è la cucina medievale, con il forno risalente al 1100.

Il castello di Macchia, in età contemporanea, più precisamente nel 1799, fu teatro degli scontri tra francesi e sanfedisti, e testimone di quelli tra filoborbonici e garibaldini nel 1860. Durante il secondo conflitto mondiale fu utilizzato come quartier generale dello Stato maggiore tedesco, quindi dell’Alto comando italiano di liberazione, ed infine, nel 1944, come acquartieramento di ufficiali superiori statunitensi.

Il castello è strettamente legato alla memoria della famiglia d’Alena, che ne entrò in possesso, nel 1748, e lo detenne ininterrottamente fino al 1938, epoca della morte di Celeste d’Alena. Il feudo di Macchia rappresentava un elemento della politica di controllo territoriale inaugurata da Donato d’Alena (1643-1723) e proseguita dai suoi figli, nonchéun anello della catena che da ovest ad est collegava i feudi della famiglia,abbracciando le tre principali direttrici tratturali (Pescasseroli-Candela, Castel di Sangro-Lucera, Celano-Foggia) che collegavano l’Abruzzo con la Puglia. I feudi dei fratelli d’Alena, figli del citato Donato, erano: Macchia d’Isernia, Valle Ambra (titolare Nicola d’Alena), S. Martino, Bralli-Montemiglio, Vicennepiane (titolare Domenicantonio), ed infine Petrella Tifernina (titolare Ferdinando). La catena di controllo era rafforzata dai feudi di Fossalto e Castelluccio di cui era titolare la famiglia Mascione, con la quale i d’Alena avevano contratto stretti rapporti di parentela. Con la morte di Celeste d’Alena, ultima erede feudale, la proprietà del castello passò alla figlia Margherita Frisari dei Conti di Ceglie, che sposò Nicola de Jorio di S. Vincenzo, e da loro attraverso Alfonso de Jorio Frisari, agli attuali proprietari Nicola e Giulio de Jorio Frisari, ed alla loro madre D. Teresa Petrecca.

Il 20 maggio 2018, nel palazzo baronale, in occasione della tavola rotonda “Storia e memoria. In ricordo di Gerardo Marotta”, il presidente dell’istituto Italiano Castelli, ha consegnato una targa di riconoscimento al castello di Macchia. A giugno dello stesso anno, invece, l’antico maniero ha ricevuto la visita del ministro cinese sig.ra Wang Yangling, vicepresidente dell’Hubei in visita ufficiale, accompagnata dal presidente della regione Molise e quindici alti funzionari della delegazione cinese, la quale ha donato alla famiglia baronale un volume in caratteri ideografici dal titolo “Sapienza cinese”.

Il castello o “Palazzo”, come preferiscono chiamarlo gli abitanti di Macchia d’Isernia, oltre ad essere residenza della famiglia de Jorio Frisari, è solitamente utilizzato per eventi e manifestazioni culturali, ed apre al pubblico in occasione di tali eventi, oppure, previa prenotazione, nel caso di visite da parte di gruppi organizzati.

(Alfonso Di Sanza D’Alena)

Bibliografia:

Grano A., Macchia d’Isernia, 2002.

Masciotta G., Il Molise dalle origini ai nostri giorni, Campobasso, 1984.

Sacco F., Dizionario geografico-istorico-fisico del Regno di Napoli, Tomo II, Napoli, 1796.

Valente F., Luoghi antichi della provincia di Isernia, Bari, 2003.

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