Cultura

Il CASTELLO DI GAMBATESA. Alla scoperta dei castelli molisani.

Il piccolo centro molisano, posto quasi al confine con Puglia e Campania, prende il nome da un antico suo feudatario, soprannominato gambatesa a causa di un evidente difetto fisico. Si ipotizza che il primo nucleo fortificato, risalente all’epoca della dominazione normanna, fosse costituito da una semplice torre circondata da un piccolo recinto. L’essenzialità del sistema difensivo è desumibile dallo scarso valore economico attribuito al feudo (il Catalogus Baronum lo indica come feudo di un solo milite) in proporzione al quale si misurava la possibilità di contribuire alla costruzione delle strutture protettive.

L’ampliamento del nucleo originario del castello dovrebbe essere avvenuto tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, quando era in possesso di Riccardo di Gambatesa (la famiglia Gambatesa è spesso indicata anche con il nome di Pietravalle), giustiziere d’Abruzzo, poi nominato siniscalco in Provenza, abile diplomatico e famoso stratega, stretto collaboratore di Carlo II d’Angiò, discendente di quell’Alferius Gambatesus nominato nel Catalogus Baronum quale primo feudatario di questa famiglia, vivente verso la metà del XII secolo. Ultimo dei Gambatesa fu invece Pietropaolo, al quale il feudo fu revocato dal sovrano per concederlo a Luigi Galluccio, capitano della piazza di Napoli.

Le modifiche più radicali del castello, che contribuirono a trasformarlo da edificio militare inpalazzo signorile, furono apportate nella prima metà del XVI secolo, quando appartenne ai di Capua, duchi di Termoli. Gran parte dei lavori eseguiti all’epoca, hanno contribuito a determinare l’attuale configurazione dell’edificio, che si articola su quattro livelli di piano.

L’ingresso principale si apre sulla piazzetta denominata largo Castello, sulla quale si affaccia anche la chiesa dedicata a S. Bartolomeo, ed è caratterizzato da una scala esterna in pietra a tre rampe. Due torri quadrate, invece, delimitano il lato nord-est del maniero.

Al primo livello di piano si accede direttamente dal largo antistante l’edificio, tramite un portone ad arco, superato il quale si imbocca un lungo corridoio, alla destra del quale vi è un ambiente anticamente destinato a stalla. Percorrendo tutto il corridoio si arriva ad un ampio locale costituito da due ambienti collegati da un grande arco, a loro volta comunicanti con un grande salone. Per raggiungereil piano nobile superiore, è necessario tornare sul largo Castello e salire lungo la scala esterna in pietra, che accede ad un atrio quadripartito collegato con le sale di rappresentanza. Dal medesimo atrio, una scala angolare in pietra conduce al terzo livello che ricalca in grandi linee la distribuzione del piano sottostante. Infine un’altra scalinata consente di raggiungere l’ultimo piano del castello, caratterizzato da una loggetta coperta a tre fornici, che guarda sulla piazzetta del paese.

La  peculiarità del castello di Gambatesa, tuttavia, è rappresentata dall’importante ciclo pittorico che Vincenzo di Capua commissionò nel 1550 al pittore salentino Donato Decumbertino. Costui, ispirandosi alla produzione artistica napoletana e romana di metà Cinquecento, decorò tanto gli ambienti del piano nobile, le cui sale di rappresentanza sono interamente affrescate, quanto quello superiore. Nei dipinti del castello di Gambatesa, la mitologia ed i riferimenti alla storia dell’antichità, si intrecciano con temi cristiani mettendo in evidenza le virtù morali, civili e militari ai quali la famiglia di Capua si ispirava.

Il primo ciclo di affreschi interessa l’atrio del piano nobile, con le sue volte a crociera nelle quali è raffigurato il tema degli amori di Zeus, tratti dalle Metamorfosi di Ovidio. Seguono le sale di rappresentanza, la prima delle quali è denominata sala del camino, ed è destinata a celebrare le virtù del casato dei di Capua. Il camino inquadra una nicchia con il ritratto del busto di un guerriero, che alcuni identificano in Giovanni di Capua,che nel 1495 sacrificò la propria vita per salvare quella del re Ferdinando d’Aragona, altri nel committente Vincenzo di Capua. La porta posta al lato del camino, è decorata con il dipinto di una tenda annodata su un lato che invita ad oltrepassarla per entrare nella successiva sala dell’incendio, il cui nome non deriva da eventi tragici verificatisi nel castello, bensì da un dipinto raffigurante l’incendio di Sodoma. Altri dipinti presenti nella sala raffigurano paesaggi che ricordano i dipinti fiamminghi e quelli del Vasari. La sala successiva è quella delle maschere, che contiene i dipinti meglio conservati del castello. I quadri riportati[1], rappresentano paesaggi fluviali e immagini di città, al di sopra dei quali vigila un clipeo con l’immagine di Minerva. Il significato allegorico dovrebbe indicare la virtù del buon governo. Tra i paesaggi raffigurati è da considerare soprattutto il dipinto di S. Pietro in costruzione, che raffigura la fabbrica della basilica vaticana. Sulla parete est della sala, nella cornice decorata con foglie d’acanto è raffigurato lo stemma dei di Capua partito con quello dei del Balzo. Vincenzo di Capua, committente dei lavori, aveva infatti sposato Maria, figlia di Ferrante di Capua del Balzo, la quale aveva portato in dote al marito, tra gli altri, i feudi di Termoli, col relativo titolo ducale, e di Gambatesa. Nella sala del pergolato insieme alle personificazioni dell’Agricoltura e dell’Estate, è rappresentata la battaglia navale del 1481, che decretò la vittoria di Alfonso d’Aragona contro i turchi che avevano occupatola città di Otranto. In questa rappresentazione si scorge anche la volontà di commemorare un altro rappresentante della casata dei di Capua, Matteo, che perse la vita nel tentativo di difendere la città di Otranto dai turchi che l’assediavano (1480).

La sala di rappresentanza per eccellenza è il salone delle virtù, nel quale sono rappresentate figure allegoriche, busti medaglioni e quadri riportati con paesaggi e scene mitologiche, che celebrano la figura di Vincenzo di Capua mettendone in risalto le virtù. Non mancano i busti degli imperatori romani Domiziano e Traiano. Dal salone si passa in un altro ambiente, la sala del canneto, che presenta uno stile meno elaborato di quello delle sale precedenti, i cui dipinti sono stati attribuiti ad un aiutante del Decumbertino. Si tratta di una ambiente di passaggio che conduce ad una stanza più riservata, cosiddettastudiolo, ma che potrebbe essere stata anche la stanza da letto di Vincenzo di Capua. Vi sono affrescate scene mitologiche riferite alle vicende di Erse e Mercurio, di Ercole che uccide il toro e di Amore e Psiche.

Gli affreschi delle sale, conservano un particolare che ha suscitato la curiosità degli studiosi. Nelsalone delle virtù, vi è un medaglione con due epigrafi sovrapposte: la prima recava l’iscrizione IO DO. PINTORE DECUBERTINO; l’altra, sovrapposta, indicava VICENCIUS PRIMUS DUX TERMOLARUM DO.NUS CAPUAE IL LIBERATOR. Al di sotto di questa e con caratteri più piccoli si legge DONATUS MINIMU DISCIPULOR PINSIT. In altre due epigrafi, presenti nelle saleprecedenti, il Decumbertino si era proclamato artefice dell’opera, senza indicare minimamente il nome del committente. La rettifica, si suppone, sia stata voluta dal di Capua per ridimensionare la figura dell’artista che sembrava quasi voler mettere in ombra quella del Duca. Potrebbe anche darsi, però, che il Decubertino, agli occhi di Vincenzo, abbia peccato di superbiaattribuendosi la paternità dell’intera opera pittorica alla quale avevano invece collaborato più artisti, e che il Duca abbia voluto “punirlo” con quell’iscrizione nella quale l’artista viene ricordato come il minore dei suoi collaboratori (MINIMUsDISCIPULORum). Altra enigmatica iscrizione si trova nella sala delle maschere: un clipeo, racchiuso in una finta cornice marmorea, rappresenta un ragno che ha tessuto la tela, nella quale è impigliata l’iscrizione IO DONATO PINTORE DECUMBERTINO PINSI A DIE MENSIS X AGUSTI NELLANNO DEL CINQUANTA. Accanto al clipeo è dipinto un pappagallo. Gli studiosi hanno ritenuto plausibile spiegare l’insolita raffigurazione con un riferimento allegorico alla vicenda di Aracne e Minerva. Aracne, insuperabile nell’arte della tessitura, sfidò Minervain una gara di abilità. La dea rappresentò, intessendolo, un tema che esaltava le divinità dell’Olimpo; Aracne, al contrario, uno che li umiliava. Per questo atteggiamento di superbia fu punita e trasformata in ragno. Allo stesso modo Decumbertino, idealmente raffigurato nel ragno (Aracne), aveva tessuto la sua tela (il ciclo pittorico) ed aveva sfidato il committente,omettendone nome e titoli, ecelebrando solo se stesso nelle epigrafi. La punizione per il suo atto di superbia è scritta nell’epigrafe del salone delle virtù. Non solo: il pappagallo, appollaiato sul trespolo accanto all’epigrafe, nelle fonti letterarie è spesso indicato come l’uccello che saluta con ave gli imperatori ed i potenti di turno. Rappresenterebbe pertanto il tardivo omaggio e il rispettoso saluto dell’artista al duca Vincenzo, per farsi perdonare l’atto di superbia.

Le decorazioni pittoriche adornavano anche il secondo piano dell’edificio, ma ne rimangono solo dei frammenti, in particolare conservati in un ambiente contiguo al salone principale, caratterizzati da uno stile meno elaborato rispetto a quelli del piano inferiore. Vi sono rappresentati temi mitologici tra cui le Tre Grazie e Venere e Cupido, e tre putti musicanti, uno dei quali regge lo spartito musicale con le note di un madrigale.

Il castello di Gambatesa è oggi di proprietà statale; è aperto al pubblico tutti i giorni della settimana, ad eccezione del lunedì, dalle 10,30 alle 17,30 (si consiglia di contattare preventivamente la Direzione regionale musei Molise).

(Alfonso Di Sanza D’Alena)

Bibliografia:

Cuozzo E. (a cura di), CatalogusBaronum, commentario, Roma, 1984.

Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. Segretariato regionale per il Molise (a cura di), Il castello di Capua a Gambatesa, 2019.

Valente F., Il castello di Gambatesa, Bari, 2003.


[1]Termine applicato ai quadri dipinti direttamente su soffitti o pareti, che si presentano; come vere e proprie raffigurazioni di quadri da cavalletto incorniciati.

Sono stati pubblicati in precedenza e figurano in questo stesso blog articoli sui castelli di Castelbottaccio, Civitacampomarano, Macchia d’ Isernia, Pescolanciano, Bagnoli del Trigno.